Nel Medioevo possedeva un’importanza fondamentale, nella vita sociale dell’epoca, il pellegrinaggio. Esso è da intendersi come quella cornice di senso dell’esistenza che, attraverso un vero sacrificio, permetteva ai religiosi uomini del tempo di immedesimarsi nelle vicende del Cristo e con lui com-patire. Per tale ragione, molti erano coloro che, lasciandosi alle spalle le incombenze della vita, si mettevano in cammino per sperimentarne la precarietà.
Una delle ambite mete era certamente Roma. La città, sede del soglio pontificio e cuore della Cristianità, è il luogo della sepoltura di San Pietro, dove i disegni di Dio sulla terra per la Chiesa avevano avuto compimento. Si può immaginare come gran parte dell’Italia fosse traversata da moltitudini di viandanti che percorrevano antiche vie di comunicazione. Ben nota è la via Francigena, la quale giustappunto dalla Francia conduceva a Roma; si proiettava poi sino ai porti della Puglia, dove i pellegrini s’imbarcavano per Gerusalemme.
Eppure non bisogna figurarsi tali sentieri come degli univoci percorsi, bensì è più appropriata l’accezione di fasci viari che tra loro convergevano in località maggiori. È questo il caso delle vie di transito site nel territorio piacentino. Ai fianchi del tracciato storico della via Francigena, che da Fiorenzuola d’Arda si dirigeva verso Borgo San Donnino, v’erano alcune varianti meno battute. Così la Via dei Monasteri Regi, un sentiero impiegato sin dal tempo dei re longobardi – certamente Rotari, o forse ancor prima da Agilulfo – che l’avevano fatta tracciare per raggiungere l’Italia centrale più agevolmente.
La Via dei Monasteri Regi
La Via dei Monasteri Regi inizialmente costituiva un mero percorso militare. Essa venne, nei secoli successivi, reimpiegata per i commerci e i pellegrinaggi diretti a Roma. Tale antico sentiero transitava da Fiorenzuola e, direzionandosi verso Castell’Arquato, Vernasca o il monastero della Tolla, proseguiva poi attraverso Bardi e Borgotaro. A Pontremoli, infine, la direttiva si ricongiungeva al percorso tradizionale della Francigena.
La Via dei Monasteri Regi, nel Medioevo, pullulava nei suoi dintorni di chiese, conventi, hospitalia e castelli. La vitalità e il fervore, che lungo il suo tracciato si avviluppavano ad andirivieni talvolta mistici e compassati, talvolta a frenetici scambi commerciali, appartengono ormai al passato. Tuttavia, è ancora possibile rinvenire di questo mondo perduto le architetture fortificate e la semplicità ricercata delle chiese, che un tempo ospitavano i pellegrini. Ne sono mirabili esempi i borghi medioevali di Castell’Arquato e Vigoleno.
Il borgo di Castell’Arquato, sulla Via dei Monasteri Regi
Un primitivo castrum a Castell’Arquato dovette sorgere in relazione alle vie di transito militari in epoca romana. Tuttavia, il toponimo del borgo, sito lungo la Via dei Monasteri Regi, è attestato per la prima volta soltanto in un atto di vendita del 760. Qui si legge “in finibus Castri Arquatense” [1]. In un documento del 774 è invece definito Castro fermo [2].

All’VIII secolo appartiene la Pieve dedicata alla Gran Madre di Dio. Essa fu fatta edificare da “un nobile potente signore nomato Magno” presso “il luogo o terra che Castello Quadrato, o Alquadro, appellasi oggi C. Arquato” tra il 756 e il 758 [3]. Di tale originaria pieve non rimane alcuna testimonianza giacché essa verrà completamente ricostruita in seguito al terremoto del 1117, divenendo l’odierna collegiata di Santa Maria Assunta. L’imponente rocca che circonda il borgo di Castell’Arquato risale, invece, al XIV secolo.

La Rocca Viscontea
La rocca fu fatta costruire a partire dal 1342 per volontà del Comune di Piacenza [4]. Fu quindi completata intorno al 1349 dalla famiglia Visconti, che aveva conquistato il borgo e scacciato i locali signori degli Scotti. La struttura, di forma quadrangolare, è in cotto e circonda interamente il nucleo abitativo antico di Castell’Arquato. Il perimetro si compone di una torre principale, detta mastio, il quale s’innalza per circa quarantadue metri, e quattro torri angolari. Le fortificazioni sono tra loro connesse attraverso due cinte sovrapposte con merlatura ghibellina. L’accesso al borgo era garantito dalla presenza di un ponte levatoio con fossato, posto ai piedi del mastio.


La Collegiata di Santa Maria Assunta
Cuore del borgo, custodito gelosamente dalla Rocca Viscontea, è la Collegiata di Santa Maria Assunta.

Ivi i pellegrini, che percorrevano la Via dei Monasteri Regi, sostavano per affidare il loro viaggio alla Gran Madre di Dio. L’austera facciata, tripartita e scandita da possenti contrafforti, s’impone sull’antistante piazza Don Cagnoni come una scenografica presenza di antica memoria. Il prospetto romanico è a salienti, e si apre all’esterno soltanto attraverso un piccolo portale a tutto sesto e superiormente mediante una bifora. L’intera struttura del XII secolo, con annesso campanile, è edificata in pietra arenaria e colpisce per la sua semplicità architettonica dalla grande forza evocativa.

Lateralmente all’edificio si sviluppa, invece, il portico del Paradiso del XV secolo, realizzato in pietra e laterizio. Esso si aggetta sulla piazza attraverso cinque arcate a tutto sesto con volta a crociera.

Gli interni della Collegiata di Castell’Arquato
La Collegiata di Santa Maria Assunta ha pianta basilicale, su tre navate, con absidi semicircolari e soffitto a capriate lignee.

Degli interni colpiscono, in particolar modo, i capitelli scolpiti di scuola romanica sui pilastri a fascio, nonché la meravigliosa cappella di Santa Caterina. Quest’ultima si apre appena all’ingresso dell’edificio, sulla navata destra, e ospita affreschi del XV secolo attribuiti ad artisti provenienti dalla Toscana.

Presso il presbiterio si staglia l’altare maggiore del XX secolo, realizzato tuttavia attraverso il reimpiego di cinque pannelli del XIII secolo. Parimenti l’ambone integra alcune formelle che raffigurano il tetramorfo, raffigurazione iconografica dei quattro evangelisti.


In fondo alla navata destra s’incontra, infine, il battistero. Esso ospita una vasca circolare in pietra dell’VIII secolo, dirimpetto ad un’elegante abside semicircolare con tre monofore.




Il castello di Vigoleno e la Pieve di San Giorgio
Il castello di Vigoleno si staglia sulla sommità di un’irta collina, quasi a protezione della Val d’Arda. Esso fu eretto probabilmente nel X secolo come roccaforte militare sulle vie di transito dei colli piacentini verso la Lunigiana. Ciò nondimeno, il borgo che tra le mura del castello è amabilmente racchiuso come in uno scrigno, doveva fungere come ristoro materiale e spirituale per i pellegrini sin dall’epoca longobarda (VIII secolo). La cittadina sorge, infatti, non lontana da Vernasca e dalla Via dei Monasteri Regi e ospita l’importante chiesa di San Giorgio. In ogni caso, la località è citata in un documento del 1144 con il quale il marchese Oberto Pallavicino cedeva alcuni possedimenti al figlio Guglielmo. In seguito il borgo divenne proprietà della famiglia guelfa degli Scotti, i quali avevano stabilito un florido commercio marittimo di panni e spezie.

Il castello di Vigoleno non fu risparmiato dalle lotte feroci tra guelfi e ghibellini. Più volte conteso e coraggiosamente difeso dal combattente Alberto Scoto, fu distrutto dai ghibellini di Parma e successivamente ricostruito. Nel 1389, infatti, Francesco Scotti ottenne il permesso di una riedificazione ex novo dal duca di Milano [5]. Da allora le mura merlate del castello, sovrastate dall’imperioso mastio, hanno conservato intatta la loro struttura, grazie anche al quasi ininterrotto dominio secolare della famiglia Scotti.

La Pieve di San Giorgio
Il centro di culto del borgo di Vigoleno era rappresentato dalla Pieve romanica di San Giorgio. Di essa si ha menzione in due pergamene, datate 1223 e 1284, custodite presso l’archivio parrocchiale. È accertato inoltre che, almeno nell’anno 1296, la Pieve fosse subordinata alla Collegiata di Castell’Arquato.

La chiesa di San Giorgio ha un impianto basilicale a tre navate e absidi semicircolari. La copertura dell’edificio è a capriate lignee. Esternamente si staglia la torre campanaria quadrangolare, mentre la facciata a salienti è elegante nella sua semplicità. Di notevole interesse artistico è il portale d’ingresso con strombature e lunetta scolpita.

Qui si rinviene la rappresentazione di un San Giorgio a cavallo che colpisce il drago. Attraverso il gesto eroico del santo, è incarnata la volontà di Dio, come si deduce dalla presenza di un angelo. L’intera iconografia rimanda alla lotta escatologica tra il bene e il male.
La narrazione del combattimento tra San Giorgio e il drago, simbolo del maligno, è un tema molto frequente nel Medioevo. Se ne può rintracciare una compiuta narrazione nella letteratura cavalleresca dell’epoca e soprattutto nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (1298).

Gli interni della Pieve
Gli interni della Pieve sono ammantati da un’atmosfera di mistica sobrietà. La luce soffusa degli ambienti invita al raccoglimento e ad un silenzioso rispetto.

Le distanze e gli spazi sono scanditi da possenti pilastri ad irregolari campate, i quali rivelano incisioni ricche di simbologie, e testimonianze scultoree presso i capitelli.


Di pregevole fattura sono gli affreschi situati lungo le navate e sui pilastri, opera tardo-gotica di ignoti autori.


Tra questi, riappare presso l’abside il tema iconografico di San Giorgio che, in veste di cavaliere crociato, combatte contro il drago.

Un percorso di conversione lungo la Via dei Monasteri Regi
L’intero complesso simbolico della Pieve di San Giorgio a Vigoleno rimanda al percorso di conversione che i pellegrini dovevano attuare, sulle orme di Cristo, durante il viaggio. La peregrinatio era segnata dalla precarietà e da una costante lotta contro le tentazioni. Così, San Giorgio idealmente accompagnava il cammino, allontanando gli influssi del maligno; la sirena bicaudata ammoniva circa i peccati della carne; il fiore della vita e la palma erano simbolo di rinascita spirituale e della vita eterna, meritato premio per chi perseverava sulla retta via.
Samuele Corrente Naso e Daniela Campus
Note
[1] Pierpaolo Bonacini, Cultura giuridica e prassi notarile nell’Italia longobarda: le carte di Varsi, Quaderno 5, Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Scienze Giuridiche, 2012.
[2] Luigi Schiapparelli, Codice Diplomatico Longobardo, 1968, Bottega d’Erasmo, Torino.
[3] Piero Castignoli, Mario Casella e i cronisti piacentini, Bollettino Storico Piacentino, LXXXIV, 1989.
[4] Registrum magnum del comune di Piacenza.
[5] Carmen Artocchini, Castelli piacentini, Piacenza, Edizioni TEP, 1983.

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, ragion d’esser forse filosofica, vagamente esistenziale e antropologica quanto basta. Daniela Campus, sarda, phD e ricercatrice in Economia dello Sviluppo, è coautrice nella stesura degli articoli.